La parità tra uomo e donna è lontana tutt’oggi e mentre l’appello al principio di uguaglianza viene ignorato da alcuni e confuso da altri, con l’approfittare di chi era (ed è ancora, per certi versi) la parte forte, la giustizia viene meno per qualsiasi essere umano.
L’era moderna non sembra aver giovato all’equità tra gli uomini, per razza, sesso e religione. Eppure, la parità si trova a base di ogni democrazia definita ‘civile’: ogni anno, donne, omosessuali, portatori di handicap e qualsiasi persona ritenuta diversa dalla massa, muore per mano di mentalità distorte e malate.
Lo stesso fenomeno del ‘femminicidio’ trova il proprio significato non nell’uccisione di una donna, azione per cui esiste già il termine ‘omicidio’, bensì nell’ambiente e la mentalità in cui esso è stato concepito: una visione falsata della realtà e della figura femminile, relegata all’immagine di soggetto debole e inferiore all’uomo.
Per trovare un lampo di equità, di vera uguaglianza che non sia degenerata nella sopraffazione del proprio oppressore, bisogna tornare indietro nel tempo e raccontare la storia di una persona coraggiosa, orgogliosa e sfortunata, senza mai essere vittima.
Artemisia Gentileschi nasce a Roma, l’8 Giugno del 1593, da Orazio Gentileschi e Prudenzia di Ottaviano Montoni: è la prima di quattro figli. La madre muore giovanissima, lasciandole il compito di accudire i fratelli e il padre, pittore di talento e allievo di Caravaggio. A soli dodici anni, Artemisia è l’unica figura femminile della famiglia e come tale, porta su di sé le responsabilità del ruolo ereditato dalla madre.
Orazio ha una visione della donna che è figlia del tempo e per questo, non permette alla primogenita di uscire di casa da sola: la ragazzina si occupa degli affari domestici, dello svezzamento dei fratelli e la domenica va a messa all’alba.
Nella condizione di ‘donna di casa’, Artemisia si avvicina al mondo della pittura e lo fa dapprima nelle vesti di osservatrice. Casa Gentileschi è un ritrovo per pittori e Orazio, oltre che seguace di Caravaggio, è anche un noto collezionista di opere altrui.
Scrutando i modelli di suo padre e studiando il proprio corpo allo specchio, Artemisia impara da sé ciò che gli altri, i ragazzi maschi della sua età, apprendono dal maestro ‘a bottega’. Così facendo, Artemisia si cimenta nella pittura dilettantistica e i risultati non sono per niente male.
Purtroppo, l’attività di Orazio non si dimostra remunerativa a sufficienza e perciò, spesso accetta lavori impegnativi che lo portano lontano da casa. Non ha i soldi per una badante e perciò, lascia i figli in compagnia di una vicina di casa, di nome Tuzia.
Al suo ritorno, Orazio include spesso dei nuovi amici nel circolo degli artisti di casa sua e nel 1610, di ritorno da Firenze, stringe una forte amicizia con Agostino Tassi: noto maestro di quadraturismo, l’arte di dipingere finte prospettive e sfondati architettonici. Portando avanti un’opera di collaborazione con l’amico, Orazio inizia a vedere i primi veri guadagni dal proprio impegno artistico.
Ormai, Agostino frequenta casa Gentileschi con assiduità e nonostante l’onnipresenza di Tuzia, riesce a incontrare Artemisia nei momenti in cui Orazio è assente. La segue, la spia, si propone in maniera velata e poco romantica, ma la presenza di Tuzia e la riluttanza di Artemisia lo hanno sempre contenuto.
La giovanissima pittrice, consapevole della propria bellezza e dell’incredibile forza d’animo che lascia intravedere dai comportamenti e dalle idee, sostiene che chiunque la voglia carnalmente debba in effetti sposarla. Peccato che Agostino, già marito e padre, non la pensi così.
Il 6 Maggio del 1611 Artemisia è in casa, in compagnia di Tuzia e si sta esercitando alla pittura, approfittando di un’insolita giornata uggiosa. Tassi fa irruzione nella stanza e senza alcun timore, inizia un’opera di corteggiamento e seduzione sfacciata nei confronti di Artemisia, che lo respinge. Preso dalla rabbia e dall’eccitazione, Agostino allontana il cavalletto, butta a terra la tavolozza e afferra la ragazzina per le spalle, ordinando a Tuzia di lasciare la casa. Inaspettatamente e in maniera vigliacca, la donna alza le mani e fugge via, sostenendo di non volerne sapere nulla. Agostino spinge Artemisia in camera da letto, chiude la porta a chiave e la costringe ad un rapporto sessuale. Prima di lasciare la stanza, abbottonando la giacca, Tassi dice ad Artemisia che la sposerà e lei accetta, credendo sia l’unico modo per porre rimedio agli eventi.
Nel XVII secolo, la donna viveva in una condizione di insignificanza sociale e giuridica, sottomessa all’autorità parentale o maritale. Alle donne non era permesso di lavorare, di gestire il patrimonio di famiglia (che spesso veniva affidato esclusivamente ai figli maschi o ai cugini di sesso maschile) o in maniera più semplice, di scegliere come vivere la propria vita. In quel momento storico, la donna aveva due sole possibilità: il matrimonio o la monacazione.
Lo stupro non era considerato un vero e proprio reato, bensì un oltraggio alla morale, al quale si rispondeva con il silenzio e la vergogna da parte della vittima. Quest’ultima, nel caso fosse decisa a sporgere denuncia, avrebbe dovuto dimostrare la propria buonafede sottoponendosi alla ‘Tortura dei Sibilli’. Le dita della vittima venivano legate con delle corde e dopo una lunga opera di tortura, che consisteva nel tirare le dita fino al raggiungimento del dolore massimo, la corte poteva accertare se l’accusatrice/accusatore stesse dicendo la verità.
Orazio Gentileschi era stato messo al corrente dell’accaduto e malgrado la sgradevolezza della situazione, aveva acconsentito alle nozze. Purtroppo, i preparativi del matrimonio non erano mai veramente iniziati e i modi sfuggenti di Agostino avevano insospettito non poco il Gentileschi.
Il 2 Marzo 1612, a un anno dalla violenza sessuale subita da Artemisia, l’uomo denuncia Agostino Tassi per lo stupro della figlia e lo fa a causa delle scoperte sul conto del vecchio amico e collaboratore. Tassi era già padre di alcuni bambini ed era sposato con Maria, disonorata e presa in moglie proprio dallo stesso Agostino.
Al processo, durante il quale Artemisia viene sottoposta alla Tortura dei Sibilli, Agostino Tassi fa affidamento su conoscenze importanti, tramite le quali riesce a corrompere buona parte dei testimoni presenti. Il suo scopo non è quello di negare gli eventi, bensì di accertare la cattiva reputazione di Artemisia, dimostrando di non essere l’unico ad aver avuto rapporti con lei. In quel periodo non era difficile screditare una ragazzina come Artemisia, giovane, indipendente, forte, molto bella, vicina all’arte, modella per alcuni pittori e presente in una casa dove c’era un continuo viavai di uomini navigati. Solo un uomo testimonia a favore di Artemisia, Giovan Battista Stiattesi ed è proprio grazie a lui che Orazio dimostra la corruzione portata avanti da Agostino.
Tassi viene condannato all’esilio, ma non lo sconterà mai.
Dopo la sentenza, il nome di Artemisia viene riabilitato e la donna si sposa con Pietrantonio Stiattesi, fratello di Giovan Battista, dal quale avrà una figlia.
Si trasferisce a Firenze, dove viene accettata all’Accademia del Disegno (prima donna nella storia) e vivrà un periodo all’insegna del lusso più estremo, seguito da uno fatto di debiti e debitori. Per sfuggire ai pagamenti, si trasferisce dapprima a Roma, poi a Genova e Venezia: nel frattempo, sempre divisa tra lusso e morosità, Artemisia viene abbandonata dal marito e vive diverse storie con degli artisti locali.
Giunta a Napoli, la donna sembra trovare la pace tanto desiderata e qui, come qualsiasi altro pittore, riesce a fondare una bottega tutta sua. Purtroppo, non le verrà mai commissionato un lavoro pubblico (a causa del suo sesso), ma i suoi lavori sono richiesti anche da altri artisti: Michelangelo Buonarroti, nipote del più celebre Michelangelo, le farà dipingere il soffitto della propria casa e la pagherà il doppio dei suoi colleghi uomini.
Intanto, Orazio è all’apice della carriera in Inghilterra, alla corte di Carlo I, il quale chiede di continuo che Artemisia raggiunga il padre a servizio del casato inglese. La donna accetta, sia per il prestigio dell’incarico che per assecondare il timido tentativo di riavvicinamento di Orazio, abbandonato dopo il processo e (forse) ritenuto in parte responsabile dello stupro subito. Sfortunatamente, Artemisia non si ricongiungerà mai con il padre, che morirà prima del suo arrivo e che sarà il motivo del frettoloso ritorno in Italia.
Dopo una vita travagliata e piena di persone inaffidabili, Artemisia si afferma da sola per l’incredibile artista che è stata e resterà: un punto di vista femminile sulla vita di una donna fiera, decisa e mai vittima, resa oggetto sessuale e essere inferiore, senza diritto, da parte di chi è riuscito a coglierne il vero valore.
Le opere di Artemisia Gentileschi sono come lei: forti, indipendenti, belle e sensuali e si discostano dalla nomea di ‘ritrattista’ che spesso veniva affibbiata alle donne che si cimentavano nella pittura. Forse, Artemisia è stato il primo essere umano dell’arte, andata al di sopra del pregiudizio e soprattutto sesso, senza mai esserne vittima e schiava.